Il registro elettronico è vera innovazione ?

 

Il registro elettronico  è vera innovazione ? Secondo molti lo è, secondo altri invece decisamente no. A me sembra che la questione sia diversa, il progetto del registro elettronico, così come il MIUR lo ha imposto, è un progetto sbagliato, con diversi errori di impostazione. Per capire i confini della questione, considerato che i pareri sono molto discordi e di difficile composizione,  ritengo utile riflettere sui vantaggi e gli svantaggi che la procedura in questione implica.

Vantaggi.

Chi è a favore del registro elettronico, sostiene che  (l’elenco non è ovviamente esaustivo) :

1- esiste una legge sulla dematerializzazione che è giusta nella sostanza e che lo rende obbligatorio.  Il registro è utile perché consentirà, a regime (anche se oggi, una parte dei documenti ancora si stampano),  di risparmiare sulla carta.

2- Come hanno notato diversi dirigenti scolastici, l’aver costretto i docenti a compilare un form web con  voti e  assenze degli alunni, ha permesso a questi ultimi di entrare  in maggior confidenza con la rete, comprese  le difficoltà e le inadeguatezze che spesso questa comporta. C’è stato in sostanza un processo di crescita nella cultura del digitale, dovuto proprio al registro,  che occorre riconoscere.

3- Le famiglie gradiscono questo tipo di interazione, anche se magari non vogliono che sia sostitutivo del rapporto umano,  ben più  interessante di quello virtuale.

4- Comunque il registro elettronico è comodo, perché alla fine, molte operazioni come gli scrutini e la comunicazione con le famiglie se ne avvantaggiano.

 

Svantaggi.

Chi critica l’introduzione del registro invece sostiene che (l’elenco, anche in questo caso,  non è ovviamente esaustivo) :

1- il registro elettronico non è obbligatorio perché , dopo aver compilato quello di carta, i docenti non sono tenuti a compilarlo, semplicemente perché privo di valore legale.

2- L’introduzione del registro  può essere utilizzato (secondo alcuni è lo scopo principale)  per controllare il lavoro dei docenti.

3- Nell’introduzione del registro si è verificata una forzatura tra scuola verticale o  verticistica (MIUR e DS)   e scuola orizzontale ( Docenti) che si sta ripetendo oggi su vasta scala con la riforma che si autodefinisce ‘La buona scuola’.

4- Compilare il database richiede tempo che incide negativamente sulla didattica e che finisce per  inserire nel lavoro dei docenti un elemento burocratico di cui molti non sentono affatto il bisogno.
Poiché mi trovo a condividere  alcune considerazioni (ma non tutte)  di chi sottolinea i vantaggi del registro elettronico, che però non considero così importanti,  ma anche di chi ne mette in luce le criticità, mi corre l’obbligo di  chiarire meglio il mio pensiero (inoltre,  poiché sono   animatore digitale , un animatore digitale contro il registro digitale è difficile da digerire o da capire se non con le dovute spiegazioni ) .
Posso anticipare che non sono affatto contrario alla raccolta dei dati quanto piuttosto al processo che lo ha imposto e  a come il registro elettronico è stato concepito, visto che rappresenta  solo una specie di scimmiottamento, neanche ben riuscito, di quello di carta.  Poiché la materia è complicata, preferisco procedere per punti.

 

1- Il problema dei costi.
Il MIUR ha scelto di assegnare ad ogni autonomia scolastica un budget per acquistare da un privato il servizio legato al registro elettronico. Questa scelta per me è priva di senso.
Se  si moltiplica il costo annuale del registro e il numero delle autonomie scolastiche si ottiene una cifra molta alta (secondo i miei calcoli almeno  15/20 milioni l’anno).  Sarebbe costato molto meno fare un bando di gara per sviluppare una volta per tutte il software di  un registro elettronico unico della scuola pubblica italiana.  Poiché si tratta di un semplice database, non sarebbe costato più di decine di migliaia di euro da pagare una tantum e non  ogni anno. Sommando la paga di 10 persone (anche troppe) che  si occupino  solo di registro elettronico, per tutto il territorio nazionale,  considerando stipendi,  banda,  costi di gestione , la cifra da pagare ogni anno sarebbe  di circa 700.000 euro e non  15/20 milioni.

La questione è seria, non abbiamo soldi da buttare.

 

2- Il problema dei dati: proprietà.
La scelta sbagliata del MIUR implica un problema non da poco: di chi è la proprietà dei dati presenti in un database  di un privato ?  E’ della scuola oppure è del privato che fornisce il servizio ?
La questione non è per nulla semplice ed è venuta alla ribalta quando un fornitore privato del servizio si è rifiutato di consegnare i dati alla scuola che li richiedeva per poterli inserire nel database di un’altra ditta, in quanto scontenta  del servizio.
La cosa è finita in tribunale.

 

3- Il problema dei dati: privacy.


Il registro elettronico rispetta la legge sulla privacy ? In particolare, la scuola che fornisce ad un privato i dati dei suoi studenti e dei suoi docenti, senza che questi abbiano dato consenso scritto e specifico per questo servizio (non un generico assenso al trattamento   dei dati) , consegnando anche dati sensibili oltre che personali,  secondo molti viola la legge sulla privacy.  Inoltre,  un docente che introduce in un database di un privato dei dati che non riguardano se stesso ma un terzo (lo studente), soprattutto in relazione a dati sensibili come le opinioni religiose, le note di demerito o di comportamento, sta violando le disposizioni comunitarie sulla privacy, ancora più restrittive di quelle italiane, visto che queste stanno per entrare in vigore anche in Italia ?
Altro problema, le scuole si informano  con richieste scritte, di come il gestore del  database si impegna a trattare le password; sanno per esempio che queste devono avere una chiave di codifica irreversibile ?

 

4- Popolare il registro elettronico.
L’inserimento dei dati in un database privato pone anche un altro problema. E’ corretto che un pubblico ufficiale o comunque un incaricato di un pubblico servizio, quale è il docente, pagato dallo Stato per una funzione pubblica, venga chiamato a dare valore aggiunto ( popolandolo con dati)  ad un software di un privato che altrimenti non avrebbe alcun valore economico ? E’ del tutto corretto che il privato riscuota  un profitto  su dati pubblici, creati da incaricati pubblici?  Per intenderci, i genitori non chiedono di accedere al servizio di registro elettronico perché appassionati di software, a loro interessano ovviamente i dati. Ma chi introduce questi dati ? I docenti ovviamente,  che sono pagati  dallo Stato. Perché però il profitto è a vantaggio del privato  se il valore aggiunto, cioè i dati, sono inseriti da personale pubblico ?
Non mi sembra una questione di poco conto.

 

5- Vendere i dati.
I dati inseriti su un database di un privato possono essere venduti e commercializzati ?
In prima istanza la risposta è no, tuttavia ci sono mille modi di aggirare la questione. Uno dei motivi per cui sono fermamente contrario al registro elettronico su database di un privato è che questo privato, prima  o poi, troverà il modo di rivendersi i dati in nuovi servizi. Voi direte che questo è illegale (ed è vero), però esistono mille modi di fare soldi con i dati. Due esempi veloci. Esempio 1: il problema delle password. Se un docente utilizza come password del registro elettronico la stessa della sua casella mail (es. istruzione.it ), un privato può avere accesso alle vostre comunicazioni. Direte voi che la questione non  interessa molto perché non abbiamo nulla da nascondere e su quella casella non c’è  proprio nulla di interessante. Verissimo, concordo. Se però la vostra  password coincide con quella del vostro conto bancario, credo che sareste un pochino meno  disponibili.  E se un impiegato, assunto a tempo determinato dalla ditta privata, una volta licenziato si portasse via il database e lo rivendesse al mercato nero ? Credete che non succeda ? Vi sbagliate. Succede eccome. Ecco perché è giusto richiedere che  le password siano registrate nel database del server  con una cifratura irreversibile (neanche chi gestisce o ha scritto il codice del database può leggerla). Avete chiesto al vostro gestore di rispettare questa codifica ?  Questo è solo un esempio banale e di piccolo cabotaggio, passiamo ora ad analizzare  il caso di un social molto diffuso e conosciuto. Esempio 2.  Se siete titolari di un account su Facebook,  M.  Zuckerberg  o chi per lui, conosce su di voi: i vostri dati personali, il numero del vostro cellulare, la cerchia dei vostri amici, le vostre foto, le vostre opinioni politiche, i siti che visitate, i vostri interessi,  i vostri hobbies, in poche parole la vostra vita.  Domanda:  Facebook, che sa tutte queste cose su di voi, può vendere i vostri dati ad altri ? Ovviamente la risposta è no. Tuttavia, come sanno tutti, pur non potendo vendere direttamente i dati (cosa che manco è interessante), Facebook ha trovato il modo di guadagnare tanti soldi in modo legale a partire dai vostri  dati . Come ? Per esempio con la pubblicità, per esempio permettendo ad aziende che vogliono vendervi qualcosa, di farlo in modo mirato, raggiungendo il profilo giusto  delle persone da contattare.  Chi ci dice che domani i gestori privati dei database, dove risiedono dati personali,  voti, note e altre informazioni,  non utilizzino i dati di studenti e docenti per fornire servizi ad editori, aziende e altri privati, compresi gli stessi social  ? (vedasi il caso di linkedin, che compra curricula) .  Per esempio, se voglio vendere un dizionario di greco, ovvio che per me ha un valore contattare direttamente uno studente del classico e non del professionale. Un’azienda che  assume personale per conto terzi o che media lavoro, potrebbe  essere interessata a conoscere se quella persona su cui si sta orientando, da studente ha avuto debiti in matematica, si è comportato in modo corretto oppure no. Ecco, potrebbe avere tutte queste informazioni da chi gestisce il database degli studenti, gentilmente popolato da docenti pagati dalla scuola pubblica, che dedicano alcuni minuti della loro lezione ad implementare il database.

6- Il registro elettronico è veramente utile come dicono ?
Purtroppo non abbiamo dati su quanti siano i genitori che si avvalgono del servizio, in modo da  misurarne  la pubblica utilità.  Alcune considerazioni di buon senso però ci possono aiutare. Nella scuola primaria e in parte anche nella secondaria di primo grado, poiché  i genitori accompagnano i figli a scuola, immagino che sappiano già se  i loro figli si trovano a scuola oppure  a zonzo. Alle superiori invece può essere utile sapere se i ragazzi marinano la scuola, anche se i miei alunni dicono che preferiscono rimanere a dormire a casa, con la piena consapevolezza dei genitori, piuttosto che alzarsi e marinare la scuola.  Se comunque si volesse veramente sapere non solo se il figlio è a scuola, ma dove si trova e con chi, oggi la cosa potrebbe essere risolta a costo zero, senza scomodare database, con  una semplice  APP  dotata di geolocalizzazione.   Certo, la scuola deve segnare le assenze ed è molto meglio farlo per via elettronica che cartacea, tuttavia, mi sembra che lo strombazzato argomento sulla necessità di  comunicare con i genitori sia affrontato in maniera un pochino datata.

 

7- Il registro elettronico è innovativo ?
Più che innovazione il registro elettronico è il retaggio della vecchia scuola che usa il digitale per non modificare il suo assetto. Cambia qualcosa in termini di successo nell’apprendimento se un sonoro ‘2’ lo scrivo su carta o su supporto digitale?  Non cambia assolutamente nulla. Perciò, più che contrario al registro elettronico, io sono contrario al registro tout court, anche  a quello di carta, semplicemente perché sono contrario ai voti. Direte che abolire i voti comporta tanti problemi;  io vi rispondo che i migliori sistemi scolastici ne fanno a meno e funzionano molto meglio di quello italiano.  A me sembra molto più utile registrare gli oggetti didattici che un ragazzo produce piuttosto che un numero per questo oggetto didattico. A distanza di anni quel numero non significa nulla, invece possedere la storia dell’apprendimento e del curricolo personale di uno studente, la cui unica chiave di accesso deve essere solo nelle mani dello studente stesso (o della sua famiglia)  e  non di altri, sia molto più utile. Quello che serve rendere elettronico non è il registro delle assenze e dei voti ma un oggetto nuovo che viene definito portfolio dello studente e che ne elenca le conoscenze e le competenze attraverso gli oggetti digitali che egli stesso ha realizzato.

8- Granularità del registro elettronico.
I dati sono il petrolio non di domani ma di oggi. Avere la possibilità di relazionarli e, compatibilmente con la privacy, di poterli leggere relazionandoli, costituisce il fondamento della democrazia, come aveva ben capito K. Popper nella ‘Società aperta e i suoi nemici’. Perciò ragioniamo un pochino su come sono strutturati i dati del registro elettronico. Se ogni scuola attiva il suo registro elettronico grazie ad un servizio offerto da un privato, la totalità dei dati consultabili, si riferisce alla sola autonomia scolastica.

I dati raccolti in questo modo perdono tantissimo del loro valore intrinseco perché il singolo docente potrà vedere solo i dati dei suoi alunni, mentre il preside potrà vedere i dati di tutti gli  alunni ma solo del suo istituto. Questo sembra  corretto nella generalità dei casi (non lo è se docente e dirigente sono studiosi di politiche scolastiche),  ma è un modo stolto di raccogliere dati perché non prevede  un accesso olistico ai dati stessi. Se per esempio fossimo politici o portatori sani di interesse pubblico, che vogliono attivare consapevolmente e non alla cieca come si è proceduto finora, politiche antidispersive,  la raccolta di dati fatta con i registri elettronici  di oggi sarebbe inutile. Se  volessimo conoscere  i dati di tutti gli studenti di una certa provincia, regione, in relazione ad una singola materia e magari incrociarli con altri database pubblici dei comuni, allora i dati presenti negli attuali database del registro elettronico risultano inutili. E lo sono perché questo è stato realizzato e progettato  male, non certo perché  i dati siano inutili intrinsecamente. Allo stato attuale quindi nessuno, e già questo è un delitto grave ( si utilizza personale pubblico, i docenti, per raccogliere dati che nella loro totalità sono opachi o sconosciuti), è in grado di fornire queste risposte, nonostante abbiamo i dati sparsi qua e là nelle singole scuole e non in un database centrale. Per come sono messe le cose, solo il gestore privato ha un accesso che va oltre il livello dell’istituto. Le teste fini del MIUR, la scuola verticale,  ha sbagliato tutto. Pagano un servizio più del dovuto, lo parcellizzano e non si preoccupano di avere accesso alla totalità dei dati: sinceramente mi sembra assurdo. Chi ha commissionato questo progetto è di vedute limitate e non si è accorto  che la ricchezza del dato sta nella sua relazionalità e nel suo valore in riferimento al tutto (olismo), non in riferimento al singolo caso. E’ come se avessero costruito non un unico Facebook mondiale ma un Facebook che ha dei confini, quelli delle singole autonomie didattiche e un unico supervisore:  il dirigente scolastico. E’ come se una banca avesse tanti sistemi di gestione differenti (o gestiti in modo non comunicante)  per ogni sua filiale. In questo caso gli utenti della banca sarebbero condannati a prelevare solo dalla loro filiale e non potrebbero farlo nei  bancomat di qualsiasi punto. Le banche, assai lungimiranti in questo,  sanno bene che il valore della  moneta sta, oltre che sul suo valore intrinseco, anche sulla velocità di circolazione e perciò non pongono steccati neanche fra banche differenti, esattamente quello che occorrerebbe fare nel caso del registro elettronico per le scuole. Non solo questo database dovrebbe essere unico e pubblico ma perfettamente comunicante con gli altri database di altri settori come gli enti locali (comuni, regioni e altre banche date); naturalmente con politiche di consultazione assegnate e prestabilite.   La raccolta dei dati del registro elettronico, poiché viola questa regola elementare, è stata concepita male, occorre riprogettarlo su basi molto differenti rispetto a quelle attuali. Per me questo punto è basilare,  mi basta anche solo questa criticità per dissentire fortemente.

9- Controllo dei docenti.
Non considero invece un pericolo il fatto, tanto temuto da alcuni, che il   registro elettronico sia un potente strumento per  il controllo del  lavoro dei docenti. Non perché non sia possibile, semplicemente perché ritengo  giusto che il datore di lavoro (lo Stato, il Diritto, la Legge  e non altri ) controlli il lavoro dei suoi dipendenti. Lo facesse però bene, in maniera adeguata  e con progetti più chiari sarebbe un bene per tutti, anche per lo Stato stesso che spende soldi senza preoccuparsi del modo migliore di utilizzare i dati o addirittura, pagando per regalare dati di eminente portata pubblica ai privati.

10. Digitalizzare i dati con il registro elettronico occupa molto tempo.
Si, questo   è certamente vero.  Rispetto alla carta, con il registro elettronico, anche se in seconda istanza è comodo, si perde un sacco di tempo. I motivi sono noti, ne elenco alcuni.
a- L’interfaccia di alcuni registri è farraginosa, si aprono varie finestre per scrivere dati mentre sulla carta si apre una sola pagina ed è alla fine più semplice.
b- La larghezza di banda italiana, al momento è una delle peggiori del mondo.
c- I gestori dei servizi di registro elettronico, non essendo esperti nel quantificare il picco di banda necessaria, non essendo direttamente provider o  ancora peggio, per risparmiare, non forniscono un servizio adeguato alla domanda.
d- I docenti sono spesso costretti a portarsi il lavoro di compilazione a casa e questo irrita specialmente chi si vuole dedicare alla didattica più che alla burocrazia.
f- Molti docenti si sentono dequalificati perché il loro lavoro consiste in altro.
Queste considerazioni sono vere, si supereranno piano piano, spero, comunque già da oggi, se il sotware fosse adeguato, si potrebbe comprimere il tempo necessario per la compilazione del registro, almeno per le assenze,  a zero secondi. Questo è il motivo per  cui considero inadeguati, anche dal punto di vista tecnologico, i software dei registri. Vecchi, creati con linguaggi e interfacce obsolete, imposte alle scuole con un’operazione verticistica, senza che queste abbiamo potuto esprimersi, con una semplice operazione di mercato avallata dai governi (da Monti in poi).
Siamo arrivati alla fine  di questo articolo molto lungo, forse poco chiaro in alcuni passi, assolutamente non esaustivo e la cosa che voglio dire è che l’operazione registro elettronico non mi interessa per nulla. Lo compilerò perché mi obbligano ma sarò sempre contrario.

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L'Autore


Luciano Pes
Laureato in Filosofia presso l'Università degli studi di Milano dove ha seguito un indirizzo Logico ed epistemologico, attualmente è docente in un Liceo di Cagliari. Ha maturato un'esperienza trentennale nello sviluppo di programmi software per la didattica costruendo diverse piattaforme. E' presidente del consorzio per la scuola digitale no profit DISCET nonchè fondatore e direttore scientifico del progetto Impari: social learning. Si è occupato di scuola digitale sia a livello istituzionale che in progetti privati.
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