La vera storia dell’uomo che ha fatto sparire il dispositivo ed ha fatto apparire il metodo.
Sembrerebbe il titolo di uno strano romanzo, ed invece si tratta di una storia vera. In questo post vi racconterò infatti di Michael Cohen, rabbino, ex direttore tecnologico di una scuola di Los Angeles ed oggi consulente, stimato speaker, scrittore, Apple Distinguished Educator, formatore per Adobe Education, ed inserito negli USA nella Top 50 delle personalità più influenti nel settore dell’Educational Technology. Eppure, nonostante tutti questi titoli, Michael si definisce così: “Aiuto le persone ad arricchire la propria vita grazie alla tecnologia”.
Negli Stati Uniti Micheal è diventato famoso per aver coniato un’espressione piuttosto particolare: l’iPad Invisibile. Ovviamente non ha inventato una magica cover che fa sparire il tablet Apple, ma ha creato un vero e proprio approccio metodologico.
In diversi articoli e conferenze Michael ha sempre ribadito un concetto: sin dal suo lancio, nel 2010, grazie all’iPad abbiamo visto una trasformazione rivoluzionaria nel modo in cui creiamo, consumiamo contenuti digitali e comunichiamo. L’iPad è anche entrato in molte classi, pur non essendo stato creato principalmente come strumento educativo, e molti docenti l’hanno giudicato come rivoluzionario. Ma cosa è davvero rivoluzionario? Le invenzioni rivoluzionarie non lo sono solo perché prima non esistevano, ma perché attraverso di esse abbiamo la possibilità di fare qualcosa di nuovo. Un’invenzione veramente rivoluzionaria, dice Cohen, dovrebbe però nel tempo diventare invisibile.
Cosa significa invisibile? Il rabbino usa l’esempio della lampadina, una straordinaria invenzione che ha cambiato il mondo per sempre: è cambiata la produttività delle persone, fino a quel momento legata a doppio filo con la luce solare; è cambiato il modo di gestire la luce stessa, con gli uomini che non erano più obbligati ad avere sempre pronta una candela o una ricarica di olio da lampada. Grazie alla lampadina inizia ad esistere una fonte di luce costante e stabile. La lampadina ha permesso all’uomo di liberarsi da numerose limitazioni, eppure, per certi versi, la lampadina è diventata invisibile. Oggi entriamo in una stanza, premiamo l’interruttore e via.
Nelle scuole altri strumenti rivoluzionari, come ad esempio la penna a sfera, sono diventati piano piano invisibili: li usiamo di continuo eppure non sono al centro della nostra azione educativa, come invece accade col PC, il tablet, o appunto l’iPad. Negli ultimi anni questi strumenti hanno liberato studenti e docenti da molte limitazioni, aprendo le porte alla multimedialità; ma ogni tanto sembra che non siano più un mezzo, ma il fine del nostro agire in classe.
La tecnologia educativa stenta quindi a diventare invisibile. Anzi, si direbbe che stia diventando sempre più visibile ed ingombrante nelle routine degli insegnanti. Eppure è davvero importante che nelle nostre conversazioni, sugli articoli in Rete, e nei convegni che riguardano l’apprendimento, gli strumenti tecnologici siano invisibili, perché stiamo cercando qualcosa di più profondo, che non troveremo solo grazie a degli schermi touchscreen. Stiamo cercando di favorire la comunicazione, di aumentare l’espressione dei nostri alunni (a tutti i livelli), e di trovare nuovi modi per sostenere la collaborazione.
Come sottolinea Cohen, la tecnologia non dovrebbe esistere per renderci più pigri o per evitarci di comunicare, semmai per farci pensare in maniera critica; per risolvere problemi più o meno complessi; per lavorare, comunicare, creare ed ideare. Sfortunatamente, però, quando una tecnologia è troppo visibile nelle mani di chi la utilizza, si perdono di vista questi importanti obiettivi. Solo quando il device sparisce, gli obiettivi di cui sopra diventano veramente concreti; solo quando ci concentriamo sull’apprendimento e sull’esperienza che questo apporta.
L’idea della tecnologia invisibile di Micheal Cohen è veramente potente, ma la sua applicazione pratica per i docenti può essere sia appassionante che frustrante. La tecnologia invisibile dà il potere a chi la utilizza di essere indipendente ed attivo, ma allo stesso tempo sappiamo che ci sono competenze tecnologiche che non possono essere lasciate da parte. Non dobbiamo quindi ignorare i dispositivi, oppure affermare che gli insegnanti non debbano essere formati per usarli. Al contrario: significa che dovremmo diventare utenti efficienti ed efficaci, ma con l’occhio fisso su ciò che possiamo fare con quel determinato device, più che su ciò che quest’ultimo può fare.
La stessa cosa deve guidare le nostre azioni nei confronti degli alunni: non dobbiamo lasciarli da soli davanti alla tecnologia, dobbiamo comunque supportarli nel trovare le migliori soluzioni, ma il nostro obiettivo decisamente non deve essere quello di creare un esercito di utenti che sappiano utilizzare tutte le applicazioni disponibili all’interno di un App Store. Quando insegnamo ai nostri studenti ad utilizzare in maniera corretta strumenti tradizionali come la penna, non lo facciamo per la penna in sé ma per ciò che si può raggiungere con quello strumento. La nostra sfida con la tecnologia, come quella degli iPad o dei notebook, è che mette alla prova così tante abilità diverse che l’utente si trova di fronte a un vero rischio: perdere di vista ciò che lo strumento riesce a fare, a favore dell’esperienza d’utilizzo dello strumento stesso (“Prof usare gli iPad è davvero fighissimo!”).
Micheal Cohen traccia una via ben precisa, attraverso una domanda fondamentale: in che modo diamo ai nostri studenti, non solo le competenze, ma la forma mentis per usare la tecnologia come strumento per risolvere qualsiasi tipo di problema?
La chiave è che non si tratta della sola tecnologia. La tecnologia va e viene; cambia di continuo; sparisce e riappare in forma diversa. Il trucco è concentrarsi su ciò che la tecnologia che abbiamo a disposizione hic et nunc ci permette di fare. L’importante è che sia qualcosa di più grande ed importante rispetto a ciò che potremmo realizzare senza di essa. Una volta capito questo saremo in grado di guardare oltre i singoli dispositivi (che siano questi iPad, tablet o notebooks) e riusciremo a vedere qualcosa di decisamente più importante: gli obiettivi che ci eravamo dati come docenti.