Come lo sviluppo delle competenze chiave può diventare prassi nella didattica.
Sono stata molto combattuta circa il titolo da dare a questo mio primo intervento, una volta stabilito che sarebbe stato su eTwinning[1]. Mi ero proposta diverse opzioni, ma il mio preferito era Quando la Scuola dei Progetti non è un Progettificio, ed è legato ad una vecchia diatriba che tutti conosciamo bene, che si ripropone ciclicamente nei Collegi dei Docenti e che fa un po’ storcere il naso ai colleghi a cui per la prima volta gli Ambasciatori[2] illustrano la possibilità di presentare progetti sulla Piattaforma europea: un altro progetto? Altro lavoro in più? E quando lo faccio? (o meglio) Chi lo deve fare? Non c’è tempo! L’argomento mi sta molto a cuore, perché in realtà è un falso problema, anzi, è una soluzione: i Progetti eTwinning non sono Progetti in più, purché siano considerati quello che sono, e cioè un pezzo del percorso scolastico di un gruppo di alunni coordinati da uno o più insegnanti, che viene condiviso e perciò integrato, completato, arricchito, ampliato, approfondito, con altri alunni di altre scuole, italiane o straniere, che si trovano a percorrere per un tratto di strada lo stesso sentiero, magari scoprendo nuove prospettive, percorsi alternativi, inattesi ed emozionanti, per una crescita comune a docenti e studenti.
Poi ho ripensato ad una mia (ormai) vecchia esperienza come tutor in un corso di formazione sulle Competenze chiave, e mi sono accorta che, dopo tanti anni, come insegnante, nei Dipartimenti, nei Consigli di classe, mi trovo a pormi le stesse domande dei docenti a cui mi rivolgevo: sì, bei discorsi, interessanti, condivisibili in teoria, ma io, in pratica, tutti i giorni, in classe, che devo fare? E per ricondurlo ad Etwinning: le Competenze Chiave come si integrano con i progetti, e dunque con la didattica, se i primi sono veramente riconducibili alla seconda?
Di competenze si parla nella scuola dalla metà degli anni novanta; da allora è un fiorire di convegni, congressi, libri, articoli (ed ora ce n’è uno in più), seminari, corsi universitari, webinar che le elencano, le sviscerano, le esaltano e cercano di individuare la loro applicazione pratica, che però presupporrebbe, come suggerisce Sir Ken Robinson[3] nel suo ormai famosissimo intervento, un cambiamento dei paradigmi dell’educazione. Questo stravolgimento, profondo, così dirompente e, a volte, per i docenti, traumatico, si scontra con la realtà di un sistema scolastico che, per la maggior parte dei casi, è vissuto dai ragazzi come un’istituzione anacronistica, inutile, noiosa, autoreferenziale, che non ha nessun rapporto con la vita reale, da cui sembra, anzi, fuggire, isolandosi pervicacemente nella sua torre d’argilla. Etwinning può essere il Cavallo di Troia che scardina, un pezzo alla volta, una prassi diventata liturgia ripetitiva, trita e ritrita, monotona, sempre uguale a se stessa, ora dopo ora, nonostante il cambio di insegnanti (di cui alcuni ragazzi, spesso, neanche si accorgono, tanto la nostra ritualità è sempre uguale), con gli attori che recitano sempre lo stesso ruolo: il docente spiega, interroga, corregge i compiti, assegna i voti; l’alunno ascolta (o no), risponde (o no) esegue gli esercizi (o no), viene valutato, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ciclo dopo ciclo. Mi rendo conto che forse sto disegnando uno scenario troppo fosco, ma le scuole di eccellenza, quelle all’avanguardia, che pure ci sono, quelle non hanno bisogno di cambiamenti. Sono le scuole “normali”, che, senza grandi stravolgimenti e senza grandi mezzi, possono iniziare a cambiare i rituali, ad innovarli, a renderli un po’ più attuali, un po’ più concreti e reali.
Per avere una panoramica semplice, ma esaustiva, di come integrare le competenze chiave nella didattica grazie ad eTwinning, può essere interessante leggere un agile documento, che ci fornisce le basi di partenza di questo nostro percorso di riflessione, su cui si legge che, perché un insegnante possa integrare le competenze chiave nella didattica, esse devono essere[4]
– Basate su un compito: gli studenti devono svilupparle attraverso compiti autentici, attivi e collaborativi.
– Interdisciplinari: dovrebbero essere insegnate in contesti che coinvolgano diverse aree disciplinari.
– Sia collaborative che individuali: gli studenti devono collaborare, ma anche agire autonomamente ed autoregolarsi.
– Guidate sia dagli alunni che dall’insegnante: l’apprendimento dovrebbe basarsi essenzialmente sulla sperimentazione e l’azione del discente, mentre il docente dovrebbe guidare l’insegnamento, lasciando che il ragazzo sviluppi in modo autonomo e indipendente le proprie abilità.
– Tecnologicamente innovative: esse dovrebbero contemplare un uso consistente delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.
– Interne ed esterne alla scuola: l’insegnamento dovrebbe tener conto e fare tesoro delle esperienze di apprendimento non formali ed informali dei ragazzi.
Tenendo ben presente queste poche regole, per niente scontate, vi propongo, da oggi, un percorso che ci guiderà a scoprire come i Progetti Etwinning possano essere veramente l’attuazione pratica delle Competenze Chiave: vedremo, competenza per competenza, esempi concreti di attività che, divenendo prassi non episodica, ma sistematica, possono portare a scuola quello che le manca per essere veramente efficace: l’entusiasmo, la motivazione, il coinvolgimento, la passione e, perché no, la fatica e l’impegno degli alunni, oltre che dei docenti.
[1] http://etwinning.indire.it/
[2] http://etwinning.indire.it/ambasciatori-e-referenti/
[3] https://www.youtube.com/watch?v=zDZFcDGpL4U
[4] : 4 BIE,Buck Institute for Education, What is a Project-Based learning? (online), 26 giugno 2014. 5 Tratto da: Cook, R. and Weaving, H., Key Competence Development in School Education in Europe: KeyCoNet’s Review of the Literature: a Summary. Brussels, European Schoolnet, 2013.
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