I nativi digitali? Quelli che volevamo “intercettare” grazie alle nuove tecnologie? Ebbene sì.
“Chi è che frena il processo d’innovazione nella scuola italiana?”
Quando mi vengono fatte domande come queste generalmente sorrido. Sorrido perché con la mia risposta so di spiazzare il mio interlocutore, il quale, probabilmente si aspetta che faccia un ritratto più o meno fedele del collega, prossimo alla pensione, che prende la parola all’interno del Collegio Docenti per lanciare anatemi sulla didattica innovativa, sugli strumenti tecnologici e su tutti coloro che hanno mai osato accendere una LIM in una qualsiasi classe italiana.
Non mi fraintendete, i colleghi così esistono davvero, ma non sono abbastanza per poter fermare la voglia di cambiare i paradigmi dell’educazione che, c’è sempre bisogno di ricordarlo, sono rimasti fermi, nella più rosea delle ipotesi, al secolo scorso. I colleghi che conosco io, la maggioranza, hanno voglia di formarsi; hanno voglia di essere presi per mano per non perdersi nel mare magnum delle possibilità che il ventunesimo secolo ci offre; hanno il desiderio di cambiare, di rendere vivo e non ripetitivo il proprio lavoro.
Se togliamo quindi i nostalgici ed i neoluddisti, chi rimane? Chi innalza un muro di gomma di fronte al docente innovatore? Sono proprio loro: gli alunni. Ma come? I nativi digitali? Proprio coloro che volevamo “intercettare” grazie ad oggetti a loro familiari? Ebbene sì. Ci siamo illusi di parlare il loro linguaggio, di dominare i loro strumenti, di capire le loro intenzioni, ed invece ci sbagliavamo.
Ah, questi nativi digitali!
L’errore sta proprio qui: i nativi digitali non esistono. Esistono bambini, bambini, ragazzi e ragazze ma tutto sono, meno che digitali. Hanno familiarità con la tecnologia, ma chiunque vi voglia vendere la favola che stare dalla mattina alla sera attaccato ad uno smartphone voglia dire essere competenti in materia, vi sta prendendo in giro. Ovviamente esistono anche quelli estremamente abili in informatica ed elettronica, ma se li contate, vi renderete conto che sono numerosi quanto quelli che venti anni fa, alla stessa età, si divertivano a “smanettare” sul PC di casa.

Coloro che vengono etichettati come nativi digitali sono gli stessi che navigano su Internet, ma non sanno come salvare un sito tra i preferiti; sono quelli che hanno difficoltà a trovare una “@” sulla tastiera; sono quelli che ogni tanto hanno difficoltà a fare un copia/incolla. Sono quelli ai quali proponi di utilizzare una piattaforma fighissima per la classe virtuale e che ti danno il seguente campionario di risposte:
“Prof, ma non possiamo passarci le foto degli appunti su Whatsapp?!”
“Prof, ma io non ho spazio sul cellulare, non posso installare più nessuna app”
“Prof, ma perché non facciamo le fotocopie?”
“Prof, ma io non ho il PC, il tablet è di mio fratello, ed il mio cellulare ha lo schermo rotto”
Ecco dove s’infrange la spinta innovativa del singolo insegnante. Anche il migliore di noi si scoraggerebbe di fronte alla “sindrome da smarphone pieno” (io la chiamo così). Hai seguito ore di corsi di formazione; ti sei impegnato; ti sei detto che questo sarebbe stato l’anno della svolta innovativa; hai sognato lo sguardo ammirato dei tuoi alunni; “finalmente uno che parla la lingua di noi Nativi Digitali!”, avrebbero detto. Ed invece no. Ti ritrovi di fronte ad un gruppo di adolescenti che ti guarda come se gli avessi proposto di partire per la luna su una Panda del 1988.
La verità è che i nostri alunni vanno di nuovo presi per mano. Li abbiamo lasciati soli convinti che fossero più competenti di noi, ma ci sbagliavamo. Per anni abbiamo insegnato ad utilizzare gli strumenti: dalla squadra al righello; dal dizionario alla calcolatrice scientifica. Ad un certo punto però abbiamo lasciato da parte quelli informatici e tecnologici, o perché troppo nuovi per noi, o perché assolutamente certi del fatto che non ci fosse bisogno di una guida da parte nostra.
Quando però ai ragazzi fai vedere quanto sia più semplice collaborare o creare con questi nuovi strumenti, ecco che riappare lo sguardo ammirato.
“Ma quindi possiamo lavorare allo stesso documento, ognuno dalla propria cameretta?!”
“In questa maniera posso stare tranquillo di non perdermi più nulla?!”
“E così mi sta dicendo che posso prendere appunti anche così?!”
“Quindi se ho un dubbio, lei può rispondermi anche a distanza?!”
Eh sì. Ci sono strumenti meravigliosi. Strumenti che non devono essere l’obiettivo del nostro insegnare, ma che permettono a noi ed a loro di lavorare meglio, di essere cittadini attivi, di essere soggetti creativi e di generare altra innovazione. Non concentratevi quindi sui colleghi “anti-tecnologici”. Concentratevi sui ragazzi, perché senza di loro non ci sarà alcuna innovazione, né a scuola, né nel Paese.
Ottima riflessione, mi ci ritrovo in pieno. E comprendo meglio alcune difficoltà avute quest’anno quando gli studenti mi hanno chiesto di “smettere di usare il computer e il proiettore”. Ho smesso. Ma ora, piano piano, ricomincio e li prendo per mano….
Ricomincia Daniela. Trova attività che li rendano protagonisti, che li “obblighino” ad essere creativi e produttivi. E non disdegnare neanche l’aspetto ludico (vale per i piccoli, ma anche per i grandi). Vedrai che alla fine saranno loro a chiederti di lavorare così.
Anch’io mi ritrovo in quanto letto e posso dire che oltre tutto quello esposto nell’articolo sopra, la resistenza, per quanto mi riguarda, nasce anche dal fatto che con il digitale vengono subito scoperti se copiano, se non fanno i compiti e come li fanno. Insegno inglese in un liceo e da tre ho un sito su cui pubblico lavori e attività che producono e che assegno ai miei studenti (anche in questo c’è resistenza perché troppo materiale da leggere, video da guardare perché poi a scuola controllo). Da quest’anno utilizzo Edmodo quindi so perfettamente chi fa cosa e quando…Ed anche in questo c’è resistenza. Il libro si compra usato con esercizi già fatti e non ci pensano nemmeno a cancellare! Il libro non serve ai bravi, per loro basta la spiegazione in classe…quindi dicono NO al digitale se da fare a casa, Sì se devono usarlo in classe.
penso che il problema non sia lo strumento da usare, ma cosa devono farci, chiaramente gli alunni che non hanno nessuna motivazione per imparare qualcosa non lo fanno con nessuno strumento, anzi cercano di evitare che strumenti in più diano loro meno scuse per non fare.
Complimenti! Analisi perfetta della situazione reale! Anche io mi sono ritrovata sbalordita quando ho cominciato ad usare la piattaforma weschool con gli studenti per il progetto di alternanza scuola – lavoro. Mi è sembrato di aver trovato la soluzione ideale per non gravare gli studenti di ulteriori ore di lezione in classe e favorire le ore da svolgere in azienda ma….. con grande sorpresa, ho verificato che quelli che credevo i nativi digitali avevano grandi difficoltà a seguirmi sin dall’invito in piattaforma!!!! Ancora una volta mi sono resa conto che chi ha voglia di fare, fa con qualunque strumento…per chi non ha voglia è sempre assai duro tentare di coinvolgerlo!