Qualche anno fa, entrata in un negozio, vidi un passeggino e dentro un bimbo molto piccolo, aveva nelle mani un tablet che maneggiava con estrema sicurezza e competenza, cercava le icone dei “suoi” trastulli preferiti, apriva le App e giocava. Semplici gesti che denotano una automazione delle azioni data dalla quotidianità degli atteggiamenti, il bambino aveva all’epoca 10 mesi.
Questa esperienza, rimasta dentro di me, è stata l’inizio di una profonda riflessione su ciò che significa la mia responsabilità nel ruolo d’insegnante, nuovi scenari e nuovi ambienti di apprendimento sono ormai parte del nostro quotidiano e con loro nuove strategie metodologiche di studio affiancano le tradizionali per un moderno modo di insegnare.
Alla luce di quanto detto e osservato, oggi, noi docenti, non possiamo limitarci ad assistere passivamente allo sviluppo tecnologico ed informatico ma dobbiamo studiare le sue implicazioni e le relative conseguenze nello sviluppo del bambino attraverso un metodo che indichi la strada affinché ciascuno possa sviluppare le proprie potenzialità, in autonomia. Dove autonomia non è sinonimo di anarchia, ma significa poter scegliere con responsabilità, nel rispetto della propria persona, degli altri e di ciò che ci circonda. L’autonomia è strettamente collegata alla libertà ed al senso di responsabilità.
E’ indiscutibile il fatto che oggi i computer siano diventati uno strumento diffuso e in alcuni casi indispensabile, sono un potente strumento di scoperta, di ricerca, ma anche di aiuto. Il progresso ha introdotto in poco tempo dispositivi che hanno profondamente modificato le abitudini di ognuno di noi. E’ necessario, quindi, che anche gli studenti siano culturalmente preparati a tale mutamento e che possano optare per una scelta lavorativa che sia confacente alle loro competenze e coerente con il progresso odierno. Non è più sufficiente che sappia fare ma che sappia ciò che fa.
Cambiano le abitudini, cambiano gli scenari e si ampliano gli ambienti educativi, diventa obbligo morale e professionale del docente sviluppare ciò che la tecnologia mette oggi a disposizione, soprattutto perché gli studenti di oggi sono i così chiamati “nativi digitali”, ed è con loro che dobbiamo relazionarci anche adoperando un linguaggio per essi più naturale.
Questa è la grande mission che la scuola deve svolgere, fungendo da connettore tra il progresso, le istanze profonde del preadolescente, la sua storia personale e la società in cui vive.
Il lato scientifico-culturale, definito appunto “pensiero computazionale”, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, qualità che sono importanti per tutti i futuri cittadini.
Il modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco, ma il pensiero computazionale, altro non è che il pensiero progettuale già presente nell’approccio “Montessori” e quindi si tratta di metodologie già sperimentate che hanno una veste nuova.
Il corretto utilizzo dei materiali sensoriali e gli esercizi quotidiani sono caratterizzati da una consequenzialità logica di azioni, che ritroviamo oggi nel coding. Non possiamo prescindere da questa realtà, ma è allo stesso modo importante che il bambino abbia un approccio attivo e non indotto, che non sia un semplice fruitore passivo, ma che sia protagonista attivo di ciò che impara e di ciò che crea con la sua fantasia, con la sua capacità logica e il pensiero computazionale unisce infatti creatività e logica, un connubio essenziale affinché l’uomo non venga sottomesso alla macchina.
Lo sviluppo e la diffusione del pensiero computazionale quale capacità di individuare un processo costruttivo, fatto di passi semplici e non ambigui, che possa portare alla soluzione di un problema complesso attraverso il “coding”, è una metodologia ma anche veicolo di arricchimento personale che riguarda più che la tecnologia, la creatività e la capacità di espressione e autorealizzazione.
A questo si aggiunge la possibilità di integrare alle metodologie già sperimentate la robotica educativa, quale stimolo, accanto allo sviluppo del pensiero computazionale che incrementa la voglia di comprendere e apprendere.
I robot sono oggetti particolari che evocano l’essere vivente per cui vengono percepiti come dotati di un’intelligenza propria e questo costruisce un legame forte che permette di sviluppare relazioni e competenze, linguistiche di base: dal parlato all’ascolto, dalla fruizione alla produzione della lingua scritta. Mentre si progetta o si costruisce un robot, si parla e si discute con i compagni e con l’insegnante. La discussione in classe è un modo di condividere idee e significati. Durante la discussione nascono stimoli e spiegazioni sempre più coerenti e che ci portano ad ampliare le nostre conoscenze.
Autonomia e sviluppo del pensiero critico, l’unione di libertà e responsabilità rappresentano il fine del percorso, affinché i giovani siano adulti autonomi, liberi e responsabili di compiere scelte rispettose degli altri, di sè stessi e del mondo circostante.
L’esperienza del passeggino è stata illuminante, perché mi ha fatto riflettere sulla importanza di stare al passo con i tempi, di non precludersi a priori ambiti e settori solo perché non ne abbiamo una sicura e completa conoscenza. Lo sviluppo tecnologico ed informatico negli ultimi anni ha subito una forte crescita e mai come ora la storia dell’umanità è caratterizzata da una rivoluzione così epocale in un così breve tempo. Buona parte dei nostri alunni svolgerà da adulto un lavoro che non è stato ancora inventato. Ecco che noi docenti non possiamo non vedere la realtà e gli strumenti che già da piccoli i bambini utilizzano.
Nostro compito è quello di far comprendere loro che non siamo noi a servizio della tecnologia ma il contrario, è la tecnologia a servizio nostro. E’ necessario inoltre far comprendere loro come ci sia una morale che regola il rapporto uomo-macchina, macchina-uomo.
Nuovi scenari e nuovi ambienti di apprendimento hanno parte della nostra vista quotidiana, l’importante è non averne paura.